Un tempo, in quel di Pontelandolfo, viveva un ricco Barone, proprietario di molte masserie, terre coltivate e pascoli d’armenti.
Il Barone, il cui nome non è dato sapere, amava la vita comoda: prediligeva il gioco delle carte e, certo, non pensava proprio di dedicarsi a nessun’altra attività.
D’altra parte non aveva bisogno di lavorare per vivere.
Quando era il tempo di Carnevale, era sua abitudine quotidiana andare per cantine a ingaggiare partite di tressette, il suo giuoco preferito, con chiunque gli capitasse a dar disfida.
Si destava tardi al mattino, perché svegliarsi presto e alzarsi dal letto prima di mezzogiorno era cafone.
Dopo il caffè a letto e le abluzioni di rito, desinava verso le due del pomeriggio. Usciva poi dal palazzotto per scegliersi un’osteria ove trascorrere ore liete a giocare a tressette e a bere più del dovuto, senza alcuna preoccupazione al mondo.
Una sera di Carnevale, per l’appunto, quando il sole volgeva al tramonto e già l’oste si affannava ad accendere le candele, il Barone si attaccò con un suo lavorante di nome Pasquale a giocare a scopa.
Il contadino era da tutti ritenuto un campione, ma il nobiluomo neanche scherzava. Le vincite si distribuirono dapprima equamente tra l’una e l’altra parte, e l’alea del giuoco andava ad aumentare l’accanimento dei giocatori.
Ben presto l’atmosfera nell’osteria si surriscaldò.
Un capannello nutrito di avventori, attirati dalla contesa, si era composto alle spalle dei due giocatori e gli spettatori, affascinati dalla tenzone, facevano il tifo per l’uno o l’altro dei contendenti.
Poi, Pasquale cominciò ad avere fortuna. Il gioco durò tutta la notte.
Alle prime luci dell’alba il Barone aveva già perso due masserie e un buon pascolo in montagna, tenuto a quel tempo a erba medica.
Dovettero allontanarlo quasi a forza dal tavolo da gioco.
Il giorno dopo, sul tardi, Pasquale andò a reclamare la posta.
Il Barone era un uomo d’onore e tenne fede ai debiti del giuoco: le masserie e il pascolo furono di Pasquale.
Ma alle vacche della stalla alta, ancora di proprietà del Barone e abituate al vecchio pascolo, non giunse notizia di quanto accaduto in osteria e del cambio di proprietà del terreno e dell’erba medica.
Nei giorni seguenti andarono, come sempre, a pascere dove avevano più gusto a mangiar erba, ma il pascolo ora apparteneva a Pasquale.
Quando il nuovo proprietario lo venne a sapere, s’infuriò.
Era uomo di carattere e non ebbe a tenersi tale affronto: si recò subito dal Barone, all’osteria del paese, e pretese quello che, a parer suo, gli era dovuto.
“Le vostre vacche sono scese a pascer la mia erba – disse al Barone – e a me ora tocca parte del formaggio che da loro ne ricaverete.”
Il Barone reagì all’arrogante richiesta di Pasquale:
“Giammai te lo darò! La terra sì che ti spetta, ma la prima erba, che era là sul campo già prima della vincita, è ancora mia! ”
Nacque la contesa.
Ci furono partigiani per l’una e l’altra parte. In breve la cosa diventò grossa: i nobili dell’epoca davan ragione al Barone; gli umili e i senza casato furon subito con Pasquale.
Il Barone non si tenne l’affronto e, una notte, mandò un fido servitore ad appendere una forma di cacio al balcone di Pasquale, in segno di sfregio, perché tutti vedessero.
Non poteva finire così.
Pasquale non gradì l’omaggio: ci pensò, ci ripensò e, da uomo accorto qual era, non sopportava che tutto volgesse al peggio.
Chiamò alcuni amici fidati e mandò al Barone questo messaggio:
“Quello che è nato dal gioco nel gioco finisca. Ci vediamo domenica mattina sottalaTeglia.”
Il Barone non aspettava altro: era un uomo forte e preciso e la partita di formaggio fu uno spettacolo che, dicono, non s’è più visto.
Vinse il Barone allammonte.
Allesott pattò Pasquale.
Continuò così per tutta la notte e i giorni appresso.
Narra la leggenda che la partita non è mai finita e ancor oggi, nelle notti di Carnevale, Pasquale e il Barone continuano la partita di formaggio che non avrà mai fine, sino a quando questo gioco resterà vivo nel cuore, nella mente e nell’anima di chi nasce a Pontelandolfo.
E ogni anno il gioco si rinnova: durante il Carnevale i Pontelandolfesi più gagliardi scendono sul viale per emulare le gesta di Pasquale e del Barone e la loro antica tenzone.
E, quando la pezza si spezza, il sapore del formaggio diventa una delizia per il palato degli spettatori presenti.
(Tratto dal libro di Carlo Perugini “La Ruzzola del Formaggio ed altri racconti”
Edizioni KDP 2018 in vendita su Amazon.it )
(Foto del 1914)
IN COSA CONSISTE IL GIOCO
Il gioco della “ruzzola del formaggio” (pèzza r’fùrmàgg’), così come la tradizione vuole, consiste nel lanciare forme di formaggio di varia pezzatura lungo un percorso prestabilito che va, all’andata (a via r’ còppa) dall’altezza della fontana in piazza Roma (sott’à la tèglia) fino a raggiungere lo spicolo della chiesa di San Rocco dove sarà il punto di partenza del percorso di ritorno (a vìa r’ sotta).
Il Torneo della Ruzzola del Formaggio (così chiamata la festività) ha origini antichissime e probabilmente fu portata a Pontelandolfo dalle popolazioni della Ciociaria che vi si insediarono intorno al 1300 per sfuggire ad una violenta pestilenza. Il gioco viene tutt’ora praticato dai cittadini che si dividono in due squadre e si contendono la vittoria lanciando grosse forme di formaggio lungo le strade del paese.
Il percorso attraversa tutto il centro di Pontelandolfo; vince chi riesce ad ultimare il percorso con un minor numero di lanci.
Extra
Un gioco molto simile a questo si fa anche in Sicilia, esattamente a Novara di Sicilia, e si chiama Lancio del Maiorchino, il nome deriva dall’azione di lancio che si fa del formaggio “majorchino” o “maiorchea” di produzione locale, ed anch’esso (più o meno come a Pontelandolfo) si gioca a partire dal 15 gennaio fino al sabato di carnevale tutti i fine settimana. (tratto dal libro: Giochi Tradizionali d’Italia, Viaggio nel Paese che gioca – ediciclo editore – Prima edizione aprile 2015)