Nel lista delle tradizioni e delle culture che volgono al declino, quella secolare del Dramma Sacro di “Santa Giocondina” non cancella il suo nome e, come vuole la costumanza, alla scadenza del quarto anno rivive nel cuore dei pontelandolfesi. “Santa Giocondina”, una tradizione secolare che non muore.
La rappresentazione rievoca la vita di santa Giocondina e del suo martirio sotto l’imperatore romano Diocleziano. Il coraggio, l’incredibile forza interiore della fanciulla Giocondina, figlia di Merio senatore romano, sostenuta nel suo arduo cammino dalla fede in Dio di Lucina sua zia e del padre che si converte anch’egli alla religione cristiana, sconfiggono le occulte forze del male. A nulla valgono le minacce di Cassandro il prefetto e i tentativi del generale Dulcezio di indurre la bella Giocondina a sacrificare agli dei immortali. La fanciulla, che non si piega neanche dinanzi alle atroci sofferenze incatenata nel profondo delle carceri Mamertine, torturata fino all’estremo delle forze dalle guardie armate, nel conforto della preghiera, senza paura porge il suo capo alla scure affilata del boia Catulo, inesorabile esecutore della pena capitale. La flebile preghiera è la forza del trionfo della fede in Cristo. I soldati imperiali che raccolgono il corpo sanguinante di Giocondina in un candido lenzuolo funerario, decretano la morte corporale della nobile fanciulla romana, ma non la fine della sua anima, che l’angelo del signore porta nel cielo della vita eterna. Tace il centurione, tace il capitano Lucio, muti sono i littori che abbassano lo sguardo dinanzi alla bianca luce del regno di Dio. Il fiato della Grande Piazza resta sospeso fino allo sprofondare del male nel tenebroso inferno, sconfitto dal “Fattor Supremo”. Una schiera di anime pure spalanca le porte del Paradiso alla fanciulla Giocondina.
Il Dramma Sacro di Santa Giocondina nasce dalla fede popolare e dalla intelligente penna del Canonico Ulisse Rinaldi che nel 1872 ambientò i personaggi e ne stese il testo. Originariamente predisposto in sette atti, nel 1964 venne adattato scenicamente in quattro atti dal Sacerdote Don Nicola D’Addona definitivamente riletto poi dal prof. Michele Rossi prezioso cultore della storia locale. Lo sviluppo del racconto scenico si svolge in un contesto di antitesi tra salvezza e dannazione, fra il Bene ed il Male personificati.